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L’attinenza: cittadinanza comunale

Essere svizzere e svizzeri significa prima di tutto essere cittadine e cittadine di un Comune.

La scorsa primavera a Losone migliaia di persone hanno preso parte alle elezioni comunali. Il rinnovo del Consiglio comunale e del Municipio è forse uno dei pochi momenti in cui la politica locale riesce a mettere in ombra quella federale e ticinese.

 

Per la maggior parte del tempo, infatti, a dominare i discorsi quotidiani sono temi di valenza cantonale o nazionale. Eppure, il Comune riveste da sempre un ruolo centrale per la democrazia elvetica.

 

Se prendete una carta di identità o un passaporto svizzero, noterete che da nessuna parte è indicato il luogo di nascita. La Svizzera è, infatti, insieme al Giappone, uno dei pochissimi Paesi al mondo a non segnare questo dato in un documento d’identità. Al suo posto è dichiarato, invece, il luogo d’attinenza (lieu d’origin in romancio, lieu d’origine in francese e Heimatort in tedesco).

 

L’attinenza è un concetto praticamente sconosciuto al di fuori dei confini elvetici e indica il Comune dove originariamente una persona o i propri antenati hanno ottenuto la cittadinanza.

 

La cittadinanza comunale precede quella nazionale

Mentre nella maggior parte del mondo le persone sono cittadine e cittadini di uno Stato, in Svizzera si è prima di tutto cittadini e cittadine di un Comune e di un Cantone.

 

Nella Costituzione federale è, infatti, dichiarato che ha “la cittadinanza svizzera chi possiede una cittadinanza comunale e la cittadinanza di un Cantone”. La prima è, dunque, solo una conseguenza di possedere le seconde.

 

Questo è particolarmente evidente nel processo di naturalizzazione. La procedura per l’ottenimento del passaporto svizzero inizia, infatti, a livello comunale. Solo ottenendo la cittadinanza comunale, ossia l’attinenza, si ottengono anche quelle cantonale e svizzera.

 

Quest’ultima esiste solo da pochi secoli. È stata istituita per la prima volta nel 1798, quando fu fondata la Repubblica elvetica, ma già nel 1815 fu nuovamente abolita prima di essere reintrodotta nel 1848. In precedenza, ogni persona era prima di tutto membro della sua comunità locale.

 

A Losone, come nel resto del Ticino, questa era la vicinia, che traeva la sua origine nell’antico “vicus”, il villaggio di epoca romana. Durante il Medioevo queste comunità erano piuttosto permeabili. Non era, infatti, raro per i “forestieri” essere accolti nella vicinia e prendere parte alla vicinanza, l’assemblea vicinale, dopo essersi sposati o aver acquistato dei beni nel Comune.

 

A partire dal Seicento divenne, però, via via più complesso per chi proveniva da fuori partecipare alla vita politica locale. Naturalmente, non si può parlare per la maggioranza delle vicinie ticinesi di un processo di aristocratizzazione come quello vissuto in diversi Cantoni d’oltralpe, in cui nello stesso periodo il potere si andò concentrando nelle mani di una classe di famiglie locali che prese il nome di patriziato, un termine risalente all’antica Roma che indicava i discendenti dei “patres”, gli antichi padri della comunità.

 

Dalla Vicinia al Patriziato

Tuttavia, tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo successivo anche in Ticino la denominazione “patriziato” si impose sulla meno appariscente “vicinia”. Allo stesso tempo, dopo la breve apertura repubblicana, nel 1803 l’appartenenza a un Patriziato tornò a essere un requisito essenziale per esercitare i diritti di cittadinanza.

 

Durante l’Atto di Mediazione, che sancì la nascita del Canton Ticino con l’unificazione dei precedenti Cantoni di Lugano e Bellinzona, diventare patrizio era ancora semplice, almeno sulla carta, poiché era sufficiente sborsare una determinata somma.

 

Nella pratica, però, era praticamente impossibile, perché quest’importo non fu mai definito, se non in casi particolari. Durante la Restaurazione l’accesso ai Patriziati fu irrigidito ulteriormente con l’introduzione del consenso dei tre quarti dell’assemblea patriziale. In quello stesso periodo il vicino Impero austro-ungarico, all’epoca il secondo più grande Paese d’Europa, arrivò addirittura a riconoscere alle famiglie patrizie ticinesi delle prerogative aristocratiche.

 

La situazione non cambiò neppure nel 1830 con l’entrata in vigore in Ticino di quella che era, allora, la più moderna costituzione d’Europa. Il diritto di voto era concesso solo nel Comune in cui si era patrizi e gli stranieri naturalizzati dovevano attendere 20 anni dall’acquisto del domicilio per poter votare.

 

Nel 1842 il curato Malfanti arrivò addirittura a dichiarare durante una seduta di Gran consiglio che “se si toglie al cittadino la qualità di patrizio, lo si confonde col forestiero, e gli si fa perdere il carattere di svizzero”.

 

Ancora a metà dell’Ottocento solo circa una persona su 10 in Ticino aveva diritto di voto. Fra gli esclusi, però, c’erano anche diversi patrizi e patrizie, poiché, oltre al requisito patriziale, era necessario essere proprietari, o almeno usufruttari, di uno stabile, e di genere maschile.

 

L’assistenza ai poveri nel luogo d’origine

A metà dell’Ottocento la situazione ticinese divenne, però, quasi paradossale.

 

Nel 1848 fu introdotto a livello nazionale il suffragio universale maschile con l’entrata in vigore della nuova Costituzione federale che sancì la nascita della Svizzera moderna. In Ticino un cittadino non patrizio avrebbe potuto ipoteticamente essere eletto in Consiglio federale, ma non poteva votare a livello comunale.

 

La svolta avvenne, però, solo qualche anno dopo, quando la Confederazione decretò a livello svizzero l’integrazione delle persone prive di patria. In Ticino si dovette, quindi, decidere se accoglierle nei patriziati oppure abbandonare il requisito patriziale.

 

Senza troppe sorprese si optò per quest’ultima possibilità e nel 1861 entrò in vigore l’attinenza comunale. Questo concetto aveva iniziato a diffondersi in Svizzera già durante il Medioevo. Dopo la riforma protestante era stato, infatti, necessario riorganizzare l’assistenza ai poveri che fino ad allora era stata a carico della Chiesa cattolica.

 

Nel 1551 la Dieta federale, l’antica assemblea dei rappresentanti dei Cantoni, decretò che la responsabilità di sostenere i mendicanti spettasse alle comunità dei loro luoghi d’origine. Nel corso dei decenni e dei secoli successivi i Cantoni iniziarono a registrare le persone sulla base del loro luogo d’origine e il diritto di cittadinanza si è legato indissolubilmente con la residenza dei propri antenati.

 

L’attinenza, simbolo della centralità comunale

Questa peculiarità elvetica qualche volta può causare delle difficoltà all’estero, soprattutto quando viene richiesto di dimostrare il proprio luogo di nascita.

 

In alcuni casi questo può coincidere casualmente con il Comune di attinenza, ma per la maggior parte della popolazione sono diversi. Nell’arco degli anni le famiglie possono trasferirsi e le nuove generazioni nascono in luoghi differenti rispetto al proprio Comune di attinenza.

 

Nel 2001 l’Assemblea federale aveva discusso di sostituire nei documenti d’identità il Comune d’attinenza con quello di nascita, ma alla fine ha prevalso il valore storico e simbolico. Nonostante all’estero possa creare qualche piccolo disguido, la popolazione svizzera è particolarmente affezionata all’attinenza.

 

Il luogo d’origine non ha, infatti, ormai più nessuna funzione pratica. Nel 2012 l’obbligo di assistenza per le persone in difficoltà è stato definitivamente trasferito dal Comune di attinenza a quello di domicilio. Tuttavia, l’attinenza continua a ricordarci che essere svizzere e svizzeri significa, infatti, prima di tutto essere cittadine e cittadini di un Comune.

Venerdì 27 Settembre 2024Ritorna

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